Gargano, 09 aprile 2021. È stata una tragica pagina della storia italiana, molto spesso trattata ed adeguata dal punto di vista dei vincitori. Il brigantaggio del Mezzogiorno postunitario è stato un fenomeno che vide una vera e propria guerra tra i sudditi rimasti fedeli a Francesco II di Borbone, ultimo re delle Due Sicilie, e il nuovo governo costituzionale. Queste attività reazionarie si concentrarono maggiormente tra il 1861-1865, con episodi scatenati anche negli anni successivi.
Ad interessarsi di questo contradditorio e complesso tema storiografico è il regista e attore Ferruccio Castronuovo, che ha avuto la fortuna di conoscere personalmente il Prof. Franco Molfese, uno dei più grandi studiosi sul brigantaggio meridionale. Il Prof. Molfese nel 1964 fu incaricato dal Governo Italiano a riaprire i documenti dell’inchiesta ministeriale sul brigantaggio svolta nel 1864, per cent’anni rimasti inviolati come segreto di Stato. Ferruccio in quel periodo è riuscito ad avere una copia di gran parte di quei documenti contenuti all’interno di due casse, tra manifesti, giornali, canti e anche delle inedite lastre fotografiche.
La fotografia, durante il periodo del brigantaggio, era ancora in una fase sperimentale. Queste immagini rappresentavano un documento di prova, una testimonianza visiva dell’avvenuta uccisione, per permettere la riscossione della taglia applicata al bandito. Molte di queste lastre ritraggono i briganti poco dopo il loro arresto o immediatamente dopo la loro morte, avvenuta per fucilazione o impiccagione.
“In quegli anni a Vico del Gargano c’era lo stato d’assedio – ha raccontato Ferruccio – non si poteva uscire dal paese, pena la fucilazione sul posto. Questa situazione ha durato quasi quattro anni, i contadini non potevano andare in campagna per curare le coltivazioni. Lo stato d’assedio in qualche modo ha incrementato la presenza dei briganti nel territorio. Quelli che non potevano più recarsi e lavorare nei campi, scappavano e si univano alle bande di questi briganti.
Molti i racconti degli avvenimenti più tragici tramandati oralmente tra le comunità garganiche. Particolarmente cruda e raccapricciante è la storia che si narra a Vico sul “Pezzente”, un giovane bandito ucciso da un parente al fine di incassare la ricompensa. I genitori del giovane, che erano in prigione, furono costretti dal comandante dell’esercito a mangiare maccheroni sotto il corpo del loro figlio impiccato. I maccheroni, che all’epoca era un piatto consumato soprattutto nei giorni di festa, non si mangiava mai durante i periodi di lutto. Tale episodio si narra, in una variante leggermente diversa, anche ad Ischitella: in questo caso il bandito pare sia stato impiccato in piazza, nel luogo dove oggi è presente l’attuale busto di Pietro Giannone. Anche in questo racconto i genitori erano stati obbligati a mangiare ai piedi del loro figlio, con davanti un piatto di maccheroni, e peggio ancora, con la carne.