Ischitella, 3 febbraio 2021. Esattamente cento anni fa, di questi giorni, a Ischitella erano in atto delle tumultuose rivolte sociali. I contadini, categoria che formava gran parte dei cinquemila abitanti del paese, contestarono ai proprietari terrieri il basso salario percepito. Un’escalation di malcontento che raggiunse il culmine intorno al 3 febbraio 1921, con il tragico e dimenticato “eccidio di Ischitella”, riportato non soltanto dalla stampa locale come “Spartaco” e il “Foglietto”, ma anche da testate estere.
Le cause della rivolta
Secondo quanto riportato proprio da Spartaco, un settimanale locale del Partito Socialista, nell’ultima raccolta delle olive le donne avevano guadagnato lire 3,50 al giorno e per la zappatura lire 3. Gli uomini, invece, avevano percepito 5 lire al giorno. Paghe da fame per l’epoca, considerando che l’olio era venduto a lire 1.100 al quintale da parte dei proprietari, mentre gli agrumi a 100 lire il migliaio. Le ore di lavoro non erano neanche di 6 o 8 ore, non si conoscevano le vittorie delle classi lavoratrici, si lavorava dall’alba al tramonto.
Le richieste dei lavoratori ai proprietari erano: 0,75 lire all’ora per le donne e 1,35 lire all’ora per gli uomini, con l’aggiunta dell’intero pagamento del tempo impiegato per raggiungere le campagne. A questa richiesta, sollecitata anche dall’allora sindaco Alfredo Triggiani, i proprietari inizialmente non risposero e in ultimo offrirono 5 lire al giorno e metà viaggio. Una vera provocazione dove la maggior responsabilità sarebbe ricaduta su Tommaso Ventrella, importante proprietario terriero per eredità, nonché ex consigliere provinciale.
Oltre all’aumento di salario, i contadini chiedevano anche più lavoro con la coltivazione di tutte quelle proprietà lasciate in abbandono nel territorio di Ischitella. Purtroppo i proprietari non accettarono neanche quest’ultimo compromesso, il che comportò a una fervente agitazione delle masse più povere.
L’attentato al sindaco Triggiani
Nei giorni che precedettero l’eccidio, un certo Castelluccio Michele di Matteo, che di mestiere faceva il macellaio, riuscì a entrare nella lega contadini con l’intento di ammazzare il sindaco Triggiani e l’assessore Salvatore che conducevano l’agitazione con calma e serenità. Il macellaio Castelluccio non riuscì nel suo intento e fu scoperto, disarmato e consegnato ai carabinieri. Si scoprì che il mandante di quest’attentato contro il sindaco fu un certo Valente, immediatamente arrestato insieme a Cataneo A. per aver favorito la fuga del macellaio Castelluccio. Sia il Valente che Cataneo A. furono scarcerati il giorno seguente.
Dopo questo primo incidente, i proprietari si dichiararono vittime delle rappresaglie socialiste, chiedendo rinforzi ai carabinieri e dipingendo i lavoratori di Ischitella come cannibali. Il sindaco Triggiani, scampato dall’attentato, il 3 febbraio, alle ore 10.30, parlò in piazza invitando i contadini alla calma e a cessare lo sciopero, in modo da favorire la trattativa tra il Commissario del Partito Socialista e i proprietari terrieri, che dopo diversi giorni e dopo diversi avvisi riuscirono a riunirsi. Si ottenne la calma, ma non la cessazione dello sciopero che ben presto raggiunse una partecipazione sempre più considerevole da parte di altri contadini.
L’eccidio
La scintilla che infuocò la rivolta fu un incidente, avvenuto in contrada Romondato, tra carabinieri e scioperanti. Un certo Giovan Battista Caputo, di anni 50, con un pugnale ferì il carabiniere Gabriele Piccolo. Il Caputo e gli altri scioperanti furono immediatamente arrestati e condotti in fila indiana, sotto percorse, fino a Ischitella.
Saputo questo episodio, circa cinquecento ischitellani, con maggioranza donne e bambini, si raccolse lungo le pendici di Ischitella, appostandosi su una scarpata dominante la strada sottostante, utile a scrutare l’arrivo delle camionette dei carabinieri. A precedere i camion c’era un drappello di soldati e carabinieri in mezzo ai quali era presente il Caputo Giovan Battista in stato d’arresto.
Giunta la carovana dei carabinieri, il gruppo dei manifestanti iniziò a lanciare numerosi sassi contro i militari coinvolgendo due carabinieri che rimasero contusi. Nel frattempo, la folla tentò di liberare l’arrestato Caputo scaraventandosi sui carabinieri per disarmarli. Altri rivoltosi si lanciarono con il pugnale in vista sugli altri militari, i quali tentarono di difendersi con il calcio del fucile.
Mentre il vice brigadiere Pastore era in colluttazione con un gruppo di persone che stava tentando di strappargli il moschetto, alcuni carabinieri si trincerarono dietro i margini della strada e spararono all’impazzata una trentina di colpi contro la folla. Secondo il settimanale Spartaco, quei colpi da arma da fuoco furono 400 e durarono per oltre un minuto.
Arrivò anche il sindaco Triggiani che si lanciò a sangue freddo nel mezzo della sparatoria, sventolando la fascia tricolore e gridando ad alta voce il cessate il fuoco. I militari, credendo il Triggiani come delegato della folla, cessarono il fuoco.
Una ferocia inaudita che lasciò a terra una donna di 44 anni, di nome Voto Isabella, morta la sera stessa per ferite all’addome, e altri 6 feriti i cui nomi sono: Di Monte Onofrio di anni 31, D’Avolio Antonio di anni 22, Caputo Maria di anni 18, Maiorano Lazzaro di anni 41, Caputo Giovanni Battista di anni 50, Speraddio Anna di anni 50. Tra i militari non vi era nessun ferito.
L’arrivo dell’onorevole Maitilasso e del Sottoprefetto a Ischitella
Quanto avvenuto fu comunicato per telegramma dalla sezione del Partito Socialista e dall’amministrazione di Ischitella alla direzione del partito e del gruppo parlamentare a Roma. Appresa la notizia, l’onorevole Maitilasso, che in quei giorni era impegnato per l’interrogazione per Sacco e Vanzetti, partì da Roma per raggiungere Ischitella dove svolse un’ampia inchiesta, trasmessa in seguito alla Camera.
Si recò a Ischitella anche il Sottoprefetto che, invece di elogiare il sindaco Triggiani, prese le difese dei signori terrieri.
Gli arresti
Furono arrestati, in un primo momento, due individui del partito borghese trovati in possesso di armi, subito scarcerati dopo l’ordine di un “capoccia” del luogo. Restò in carcere il Giovan Battista Caputo, e agli arresti fu condotto anche il lampionaio del paese per eccitamento a delinquere.
Cosa ottennero i contadini dopo la rivolta
Dopo lo spargimento di sangue, ben poco ottennero i contadini in termini di salario: alle donne spettarono 5 lire al giorno, e agli uomini 1,35 lire l’ora, circa quanto proposero i proprietari terrieri nelle prime trattative.
La testimonianza di Pietro Paradiso
Nato a Ischitella il 5 gennaio 1916, Pietro Paradiso, sindaco d’Ischitella negli anni 1952-56, 1960-64 e 1973-78, all’epoca dei fatti aveva sei anni e ha ricordato questi episodi nel suo libro “Una ragione di vita”, pubblicato nel 1996 dalle Edizioni Cofine.
“Prima d’allora i conflitti sociali si risolvevano con l’uso della forza, specie nell’immediato dopoguerra, 1921-1922, come più tardi mi raccontarono quelli che furono attori e testimoni di quelle vicende. Ricordo solo – avevo forse sei anni – quando in paese si sparò ed udii quegli spari. Seppi dopo che la forza pubblica aveva sparato sulla folla che manifestava contro i signori, i maggiorenti del paese. Un’altra volta una folla di manifestanti si oppose alla “Portella”, anche con lanci di sassi, all’ingresso dei soldati in paese: questi reagirono sparando ed una donna, Isabella Voto, fu colpita a morte. Era allora sindaco il socialista, Alfredo Triggiani, che accorse con la fascia tricolore, in qualità di commissario di pubblica sicurezza, ed esortando alla calma, riuscì a placare la popolazione e a far desistere i soldati dall’ulteriore uso delle armi”.