Sembra una domanda curiosa, e a dir poco inaspettata sulla figura di Pietro Giannone, menzionato maggiormente per il suo pensiero e le sue opere. Eppure, il suo letto, il giaciglio dei suoi giovani anni prima della maggiore età, forse era ancora conservato e custodito, fino agli anni Sessanta, proprio ad Ischitella, all’interno delle mura della sua casa natale. A far emergere quest’informazione è stato uno scritto introduttivo del libro “Il Gargano” della collana “Italia Nostra” dell’Automobile Club d’Italia, pubblicato nel 1963, i quali autori sono i giornalisti Lori Sammartino e Giovanni Russo.
Questo testo, che stiamo per riportare, è la straordinaria testimonianza del giornalista Giovanni Russo, inviato speciale del Corriere della Sera, che nei primi anni Sessanta percorse l’intero Gargano per fare tappa anche ad Ischitella. Giovanni Russo, attratto dallo storico ischitellano Pietro Giannone, ebbe la fortuna di visitare gli interni della sua casa natale conversando direttamente con il proprietario dell’abitazione, di nome Michele. Durante questa visita, lo stesso padrone di casa ha fatto concentrare l’attenzione verso un letto, in ottone, conservato all’interno della cantina sottostante, definito da lui stesso come il “letto di Pietro Giannone”.
Precisiamo da subito che non diamo piena conferma a tali informazioni rivelate all’epoca dal proprietario Michele, ma la cosa è già singolare in sé ed è opportuno riportala alla conoscenza. Abbiamo preferito restituire appieno il racconto del giornalista Russo, trascrivendo fedelmente il testo, senza aggiungere altro. Buona lettura.
“Saliamo al paese e ci fermiamo nella piazza. Trattandosi di una domenica ed essendo mattina ormai tarda ci saremmo aspettati di trovare più gente. Ma la piazza è vuota. Essa mostra le tracce di una dignità ormai decaduta nel settecentesco palazzo baronale del principe Pinto e nella chiesa di epoca forse più tarda. Davanti al palazzo sono seduti due vecchi ai quali chiediamo notizie della casa natale di Pietro Giannone. Si avvicinano alcuni bambini che si offrono di accompagnarci.
I ragazzi ci guidano per uno stretto vicoletto fino a una stradina dove le case sono l’una attaccata all’altra, basse, con le pareti dipinte di giallo, abitazioni di contadini agiati, che, si capisce, un tempo, dovevano essere state però più civili. Sulla parete di una di queste case c’è una piccola targa di pietra, sulla quale è scritto: «Qui nacque Pietro Giannone autore della Storia Civile di Napoli e del Triregno. 7 maggio 1676 – Il Municipio pose 1875». Di fronte a esse vi sono veri tuguri (come gabbie d’uccelli) candidi di calce, che sorgono fra un intrico di scalini e di viottoli, che nascondono il cielo.
A una finestrina, accanto alla lapide, è affacciato un uomo di una sessantina d’anni in maniche di camicia, che conversa con tre donne sedute davanti alla porta, una giovane e sfiorita, che allatta un bimbo. Domandiamo al vecchio se possiamo visitare la casa e lui si fa sulla porta: «Questa sola è la casa di Giannone – ci dice indicando con un gesto il pianterreno – ed è mia proprietà. L’ho ereditata da mio padre che la ebbe dai suoi avi». Mi ritornano alla mente le prime parole dell’autobiografia: «Io nacqui da onesti parenti a’ 7 di maggio dell’anno 1676, in una terra del Monte Gargano nella Puglia dei Dauni chiamata Ischitella prossima a’ lidi del mare Adriatico, dirimpetto all’Isole Diomedee, ora dette di Tremiti». In quella casa dunque la «non men pia che savia madre, Lucrezia» Micaglia, lo educò, con l’aiuto dello zio prete, mai non pensando alle traversie che lo avrebbero portato a rivendicare i diritti della libertà di pensiero e di giudizio.
Lo stanzone, arredato con un letto, un canterano e una madia (i semplici mobili di una casa di agricoltori) è forse rimasto uguale a quello che abitarono i genitori di Giannone. Sul pavimento c’è un mucchio di legna e il vecchio si scusa di averla dovuto deporre lì perché è andato proprio oggi a tagliarla. Sotto una cappa di vetro posta sul canterano e dove è custodita, come si suole nelle case del Sud, una Madonna sono le immagini di Padre Pio, della Deposizione di Cristo e un quadretto di Giannone. Penso che il grande giurista e storico, morto in odio della Chiesa, non avrebbe mai sospettato che, nella sua stessa casa natale, la sua immagine sarebbe stata venerata accanto a quella di Padre Pio. Non fu del resto un frate francescano, del Convento di Ischitella, a dargli la prima istruzione?
Michele (così si chiama il contadino) ci taglia una grande fetta da una pagnotta, ci offre fave fresche e vino. Mentre mangiamo ci racconta che i suoi figli vivono a Milano, ma che la figlia ritornerà al paese. Lui le lascerà la casa ma, nel testamento, stabilirà che resti così come gli è venuta. Dovrà restare nella famiglia erede per erede. Mi sorprendono l’orgoglio e il rispetto di questo vecchio contadino, che non sa nulla delle opere di Pietro Giannone, ma che ha chiara la coscienza di abitare nella casa di un grande spirito. A un certo punto, Michele si alza, ci accompagna nella cucina, e apre una botola che reca nella cantina e ci dice: «Lo sa che quaggiù conservo ancora il letto di Pietro Giannone?» Accondiscende a mostrarcelo. Nella cantina non c’è luce. Il vecchio accende una candela e ci indica, appoggiate a una parete, due testate di ottone, sulle quali il tempo ha cancellato l’immagine di dipinti che dovevano essere, a quanto si intravede, di buona fattura. «Qui dorme – commenta Michele – il letto di Giannone». Alla luce della candela osserviamo il letto che è a una piazza, piccolo, come si usava appunto per un ragazzo o un giovinetto, e ciò ci induce a ritenere che sia proprio quello del Giannone che, a Ischitella, rimase fino ai diciotto anni. Quel prezioso cimelio, abbandonato in uno scantinato, è affidato solo all’amore di questo vecchio contadino.
Risaliamo in casa. Beviamo ancora un bicchiere di vino prima di salutarlo e ritorniamo nella piazza.
Giovanni Russo