Vincenzo Patini presenta il suo Saggio (Saggio sopra il sistema della Regia Dogana della Puglia, suoi difetti e mezzi di riformarlo, Napoli 1783)in contrapposizione alle tesi di Domenico Maria Cimaglia. Nell’introduzione, tessendo l’elogio di re Alfonso d’Aragona, descrive l’origine della Regia Dogana con i privilegi accordati ai pastori in un Tavoliere sacrificato e a null’altro consacrato che alla pastorizia transumante:«La Puglia nell’ambito delle sue spaziose pianure feconde d’ogni genere di foraggi, dall’autunno fino a primavera, riceve le numerose greggi che vanno a cercar un ricovero in quel benefico suolo per tornar quindi alternativamente a rigodere le frescure degli Abruzzi nel colmo dell’adusta stagione» (Patini, op. cit., pp. 5-6).
Nella stessa introduzione del testo, Patini si dichiara da subito a favore della «ragion pastorale», spiegando i vasti benefici apportati dalla pastorizia anche sul piano culturale e sociale: «La pastorale fin da’ più remoti tempi si è riguardata sempre come una delle arti primitive e necessarie tra’ popoli isolati ed inculti, e come vera sorgente delle ricchezze presso le nazioni civilizzate e commercianti» (Patini, op. cit. p. 3).
Se da un lato Patini accenna con enfasi ai giovamenti storicamente accertati prodotti dalla pastorizia, dall’altro, facendo riferimento all’evidente stato di decadenza del regime della Regia Dogana, pensa che basti ricondurre il sistema alle origini, ai principi cardini fissati e imposti da re Alfonso. Ed è partendo da questa visione concettuale che Patini spiega il fine del suo discutibile, tutt’altro che rivoluzionario, piano di riforma della Regia Dogana: «Altro non essendo il suo disegno, se non di delineare l’attual sistema della Regia Dogana, di notare i suoi difetti, e d’indicarne i ripari […] e per ultimo verrò a proporre alcuni mezzi più facili, ed efficaci, onde se ne possa procurare una riforma utile e vantaggiosa che senza dare alcuna scossa alla macchina, sia atta a sostenerla, e a preservarla da funesta rovina… » (Patini, op. cit., pp. 11-12).
Per «funesta rovina» Patini intende riferirsi, senz’ombra di dubbio, al progetto di censuazione del Tavoliere e, da questo punto di vista, dimostra di essere risolutamente su posizioni antitetiche a quelle del Cimaglia. Il Saggio di Patini è suddiviso in tre parti: la prima tratta della Natura della costituzione della Dogana (op. cit., pp. 13-77); la seconda affronta le Considerazioni su la forma, e le Leggi della Regia Dogana (op. cit., pp. 78-126); la terza illustra il Piano di riforma nella costituzione della Regia Dogana delle pecore (op. cit., pp. 127-161)con la proposta di riformare il sistema tornando all’applicazione delle leggi fissate all’origine, ponendo fine alle usurpazioni con decise azioni di reintegra, intensificando i controlli al fine di eliminare le dannose «scommessioni» (la pessima abitudine dei locati di lasciare le proprie poste dal mese di marzo per pascolare liberamente in tutti i pascoli), definendo nettamente i campi destinati alla pastorizia da quelli utilizzati a fini agricoli, fissando quale priorità assoluta la difesa dei privilegi dei locati, anche a scapito dei principi di libertà e contro le regole della pubblica economia. Sperando, infine, nella prosecuzione ad oltranza delle funzioni assistenziali regolatrici svolte dallo Stato dagli Aragonesi in poi.
E per quanto riguarda la questione mai definitivamente risolta delle usurpazioni, Patini, in particolare, specifica che «questo non deve esser l’opera d’un Tribunale collegiato o di una Giunta per l’interminabil carriera degli ordinarj giudizj, ma di un Ministro che all’autorità necessaria accoppj il volere e il sapere: sordo alle varie minacce insensibile agl’intrighi… »(Patini, op. cit., p. 131).
Sulla distinzione tra le terre destinate ai locati e quelle usufruibili dai massari di campo, resta su posizioni drastiche, indifferente alla secolare storia di conflitti e di controversie mai risolte tra pastori e massari. Mai cedendo alle lusinghe innovatrici di proposte alternative, propone che sia la stessa autorità a «riconoscer le terre assegnate al pascolo ed alla cultura con segregar le une dalle altre con un comodo partaggio in modocché senza recarsi tra di loro alcuno imbarazzo vengano a formar la dovuta armonia tra la pastorale e l’agricoltura» (Patini, op. cit., p. 132).
Per calcolare le tasse e ripartire le poste occorre assolutamente abolire il metodo della «professazione», che non solo mette i locati ricchi contro quelli poveri, ma diventa fonte di disagi e di gravi ingiustizie. Inoltre, i pascoli devono essere assegnati e ripartiti ogni dieci anni in modo che i locati – «sicuri della propria sede nel Tavoliere sarebbero a portata d’avviare a’ danni delle scommessioni, mediante la custodia dei loro possessi… » (Patini, op. cit., p. 139) – possano non dipendere annualmente dagli agrimensori e siano messi nelle condizioni di ritornare nel Tavoliere nel momento più opportuno a seconda delle reali condizioni climatiche, evitando tutti i danni da sempre subiti in attesa di entrare nelle poste. E ancora, Patini, facendo riferimento alla sempre elogiata volontà di re Alfonso, pur ammettendo che «la libertà sia l’anima dell’industria, e che il maggior numero de’ concorrenti ne accresca l’attività e ne sostenga il vigore» (Patini, op. cit., p. 158), cede all’inclinazione dottrinale dei locati di non consentire assolutamente ai massari pugliesi di esercitare l’attività pastorale,«siccome gli Abruzzesi unicamente intenti alla pastorale non pensano ad intromettersi nell’agricoltura della Puglia, così di vietarsi a’ Massari di Campo d’estender anche alla pastorale le di loro mire» (Patini, op. cit., p. 157).
Questa parte del piano di riforma del Patini si configura con un ben delineato limite conservatore, di pura e semplice difesa dei privilegi dei locati che non tiene in alcun conto, «nel pieno meriggio illuministico»e con un progetto governativo moderatamente fisiocratico e antivincolistico in atto, che i principi di libertà nella pubblica economia cominciavano ad assumere una notevole valenza politica, oltre che sociale. Considerazioni che non certo potevano alimentare la speranza in una prosecuzione della funzione assistenziale e regolatrice, che lo Stato aveva da secoli assunto nei riguardi della pastorizia transumante del Tavoliere.