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La storia di Mario, nativo di Ischitella, sopravvissuto ai lager nazisti

La straordinaria vita di Mario Coppolecchia, coraggioso partigiano della Resistenza Italiana e deportato nel campo di concentramento di Mauthausen. Si salvò grazie al suo mestiere di barbiere.

Oggi è la Giornata della Memoria, data istituita come ricordo per tutte le vittime dell’Olocausto, associata alla data di fine delle persecuzioni nazifasciste con l’entrata dei sovietici, il 27 gennaio 1945, nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Tra i deportati nei lager nazisti anche un nativo di Ischitella, Mario Coppolecchia.  A raccontare la sua toccante storia è il nipote, Michele D’Errico.

Nella Resistenza Italiana

Nato a Ischitella nel 1921, Mario Coppolecchia raggiunse suo fratello Filippo a Cuneo, dove cominciò a lavorare come apprendista barbiere. L’8 settembre 1943 Mario si oppose all’adesione verso la Repubblica Sociale Italiana, detta anche Repubblica di Salò. In questo periodo a Cuneo era difficile vivere, sotto la pressione costante dei rastrellamenti della Wermacht e della polizia italiana la Monterosa.

Si trasferì in Val Varaita, grazie all’aiuto dei fratelli Tassoni, attraversando i posti di blocco posizionati in più punti, e si unì ai partigiani della brigata Alpini per contrastare le attività tedesche. Purtroppo, mentre era di guardia a seguito dei rastrellamenti della Wermacht, Mario venne catturato e arrestato. Ben presto gli fecero scavare una buca con le sue stesse mani, buca che sarebbe stata la sua tomba dopo la fucilazione sul posto. Ma proprio in quel momento, giunse un contrordine con mandato di trasferimento per Mario, prima al carcere di Saluzzo, poi in quello di Torino e infine al campo di Bolzano nel blocco dei criminali.

Medaglia conferita a Mario Coppolecchia, per benemerenza dall’Ass. Naz. Combattenti e Reduci – Sezione di Desio

Detenuto nel campo di Bolzano

Mentre Mario era in detenzione nel campo di Bolzano, con l’aiuto di altri prigionieri e di un certo Michelangelo Ciamarra di Campobasso, tentarono di evadere attraverso un pertugio scavato, giorno e notte, con un semplice cucchiaio in dotazione ai detenuti. Il tentativo di fuga non giunse alla conclusione, e sia Mario che gli altri prigionieri furono scoperti e immediatamente pestati dalle guardie. Decine di anni più tardi sarà lo stesso nipote Michele a rintracciare Michelangelo Ciamarra, tramite un amico del collegio di Campobasso, e farlo incontrare con lo zio Mario. Tanta l’emozione di quel momento nel ritrovarsi dopo tanti anni, ricordando quei pochi tozzi di pane divisi e le numerose torture ricevute nel campo.

Medaglia d’onore conferita a Mario Coppolecchia, come cittadino italiano deportato e internato nel lager nazisti.

Deportato nel campo di concentramento di Mauthausen

Un giorno, sempre al campo di Bolzano, giunse l’ordine di deportare, su dei vagoni ferroviari blindati, tutti i prigionieri verso il campo di concentramento di Mauthausen, nell’Alta Austria. Ogni carrozza conteneva 60 deportati, e ogni bisogno fisiologico era svolto davanti a tutti, in un angolo del vagone. Una volta giunti a Mauthausen, i prigionieri furono denudati all’aperto con una temperatura proibitiva di -7°, in seguito vestiti e trasferiti nelle baracche. A Mario toccò la baracca n. 21, con il numero di matricola 115450, e una branda per dormire a unica piazza per sei prigionieri, tre per ogni lato.

Come mansione nel campo di concentramento, a Mario fu assegnata l’attività di raccogliere i corpi delle persone che giornalmente venivano a mancare all’interno delle varie baracche, per poi essere trasportati verso i forni crematori. Mario raccontò al nipote che alcuni corpi erano ancora in vita. Per questo indicibile, e inclassificabile “lavoro”, il compenso era una zuppa in più che Mario condivideva con gli altri.

Lo zio di Michele ha raccontato uno dei tanti episodi raccapriccianti che si svolgevano all’interno del campo. Una mattina, durante l’adunata, da un prigioniero cadde a terra un tozzo di pane che aveva conservato in tasca. Fu preso dalle guardie e con l’aiuto di altri quattro prigionieri fu rovesciato a testa all’ingiù in un catino d’acqua fino alla morte. Simili atrocità erano all’ordine del giorno.

La salvezza: tosare i capelli ai prigionieri

Le guardie naziste un giorno chiesero se tra i prigionieri ci fosse qualche barbiere. Mario alzò la mano: fu un’occasione decisiva, che gli ha salvato la vita. Come compito doveva tosare i capelli ai prigionieri che arrivavano giornalmente nel campo, un lavoro che durò fino al giorno della liberazione.

Gli incontri nel campo di Mauthausen

Tra le persone che incontrò Mario durante l’agonia nel campo di Mauthausen, fu Gianfranco Maris, capo dei partigiani della Val Brembana, arrestato a Lecco e trasferito nel campo di Bolzano per poi essere infine deportato nel 1944. Gianfranco Maris, dopo la liberazione dal campo, divenne Senatore della Repubblica nelle liste del PCI e membro del CSM, nonché presidente dell’Associazione Ex Deportati e vice presidente dell’AMPI della Lombardia. Il nipote di Mario, che per mantenersi gli studi faceva l’istruttore di ginnastica, ebbe la fortuna di incontrarlo e conoscerlo personalmente nel 1968 nella palestra di Francesco Conti in Piazza San Babila a Milano.

Altro personaggio menzionato spesso da Mario era Pietro Caleffi, arrestato a Milano nel 1944 e deportato a Mauthausen nella stessa baracca n. 21. Giornalista, partigiano, addetto stampa con i servizi segreti degli alleati inglesi, Pietro Caleffi organizzò un servizio d’informazioni sui movimenti delle truppe tedesche. Era Pietro a comunicare notizie ai prigionieri su quello che accadeva all’interno e fuori dai campi di concentramento. Fino al 1926, è stato segretario della federazione socialista di Mantova e dopo la liberazione è stato eletto Senatore della Repubblica nelle liste del Partito Socialista. Ha lasciato sue testimonianze in molti saggi, tra cui il libro “Si fa presto a dire fame”.

Mario Coppolecchia

Il pensiero del nipote di Mario verso Liliana Segre

Il nipote di Mario, durante l’intervista, ha voluto ricordare anche la straordinaria personalità della senatrice Liliana Segre, che per tutta la sua vita si è impegnata a dare la sua testimonianza sull’Olocausto, vissuto di persona quando lei aveva 7 anni, all’interno del campo di Auschwitz, dove perse i suoi genitori. “Commovente è la testimonianza riportata nel suo libro La memoria rende liberi” ha riferito Michele, aggiungendo un pensiero per la giornata della memoria, che non dev’essere celebrata soltanto in un giorno dell’anno, ma sempre riportata alla mente e al cuore:

“Da queste pagine di storia che inquietano le coscienze, mi chiedo come fosse stato possibile che uomini, proprio come noi, potessero compiere crimini con tanta spietatezza.

Da giovane è cresciuto in me la consapevolezza che bisogna diffidare dei regimi totalitari e dittatoriali di qualunque genere, tra i quali possono identificarsi anche i sovranisti, oggi parola molto usata, che significa “prima noi” o che si invocano “pieni poteri” ad un uomo solo. La storia ci insegna che ci vuole poco, basta seminare un seme cattivo per produrre frutti cattivi.

Io dico ai giovani che sono un mondo più giusto, più solidale, senza steccati, senza muri, senza pregiudizi, per una società veramente libera. Questo è il messaggio che mi sento di dare nel giorno della memoria”. Michele D’Errico. 

Michele D’Errico, il nipote di Mario Coppolecchia
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